Le crisi finanziarie
non sono una prerogativa del mondo moderno. Anche se oggi i
meccanismi del credito e il sistema monetario e bancario sono
decisamente più ampi e complessi che in passato, certe dinamiche
riguardo l'indebitamento pubblico sono rimaste le stesse. Nel Cinque-Seicento, ad
esempio, avvenne più volte che i sovrani di Spagna, travolti
dai debiti, dichiarassero la bancarotta.
Le prime banche,
ossia compagnie di mercanti che offrivano servizi finanziari,
erano nate in Italia nel Basso Medioevo e avevano cominciato a
diffondersi a partire dal Duecento. I più esperti nell'arte del credito furono inizialmente i fiorentini,
che spesso aprivano “filiali” in altri regni della Penisola per
estendere i loro giri d'affari. Banchi come quelli degli Strozzi,
dei Peruzzi,
dei Bardi
erano molto conosciuti e si rivolgevano a clienti
facoltosi ma anche a commercianti, artigiani e piccoli risparmiatori,
movimentando grandi masse di denaro. Per far fronte alle esigenze
pratiche che derivavano da queste attività, i mercanti italiani
inventarono molti degli strumenti creditizi e contabili che si
utilizzano ancora oggi, o perfezionarono quelli già esistenti:
la cambiale
(detta lettera di cambio),
l'assegno circolare,
i buoni del tesoro,
la partita
doppia.
Il legame fra banchieri privati e potere pubblico andò stringendosi ancora di più nel Rinascimento, un'epoca di guerre sanguinose e pressoché continue, combattute
ovunque in Europa da sovrani scaltri e ambiziosi.
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Jakob Fugger brucia i titoli di credito davanti a Carlo V |
Il più potente fra
i monarchi della terra era Carlo V d'Asburgo, re di Spagna e
poi anche imperatore del Sacro Romano Impero, padrone di un dominio
che attraversava tutte le latitudini. Per sostenere, difendere e
ampliare un impero del genere, Carlo aveva bisogno di enormi quantità
di denaro, che i soli proventi delle tasse non erano in grado di
assicurare. Come altri sovrani prima e dopo di lui, anche
l'imperatore decise di rivolgersi ai mercanti-banchieri per ottenere
prestiti coi quali finanziare le proprie campagne.
I
principali creditori dell'Asburgo furono i Fugger, famiglia di
banchieri tedeschi che arrivò ad annoverare fra i propri clienti
vari monarchi europei, finendo con l'influenzare gli equilibri
continentali con le proprie politiche finanziarie. Ma ciò significò
anche, per i creditori, esporsi a gravi rischi: furono proprio le
sistematiche insolvenze delle varie teste coronate a segnare il
declino e poi il fallimento del banco dei Fugger, come già avvenuto nel Trecento a danno dei Bardi e dei Peruzzi. Carlo V si rivolse
anche ad altri istituti – i catalani avevano acquisito posizioni
importanti nel mercato finanziario, che restava però dominato dai
genovesi – e alla sua abdicazione, nel 1556, lasciò in eredità al
figlio, insieme alla corona di Spagna, una montagna di debiti (si
parla di circa 30 milioni di ducati).
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Filippo II di Spagna ritratto da Tiziano (1549-50) |
Filippo
II non aveva la stessa passione del padre per le spedizioni e le
conquiste. Era un uomo mite, solitario, eternamente rinchiuso fra le
mura di quella reggia-monastero che era l'Escorial. Qualche
guerra dovette combatterla anche lui, in particolare per mantenere il
controllo delle Province Unite (gli odierni Paesi Bassi) che
si ribellavano al dominio spagnolo. Ma anche in tempo di pace le
spese della Corona crescevano a dismisura, in parallelo con
l'espandersi delle strutture burocratiche dello Stato. I debiti
accumulati nei confronti dei banchieri divennero presto
inestinguibili e a ripagarli non bastarono gli aumenti di tasse,
basate peraltro su un sistema di prelievo inefficiente.
Nel
1557 Filippo II si risolse a prendere una decisione estrema:
dichiarare la bancarotta. In realtà si trattava di qualcosa
di molto diverso dalla bancarotta di una comune impresa privata. Il
sovrano, in virtù del suo potere, stabiliva unilateralmente la
riconversione dei prestiti a breve termine (detti juros e
caratterizzati da alti tassi d'interesse) in titoli di debito
consolidato (detti asientos), che avevano termini di
scadenza più lunghi e interessi più bassi. Lo Stato dichiarava
bancarotta ma a fallire erano dunque i banchieri, che non ottenendo
la restituzione dei prestiti finivano gambe all'aria nel giro di
pochi anni.
I
re di Spagna non impararono mai a gestire in modo accorto le finanze.
Continuarono a ottenere prestiti e ad accumulare debiti, arrivando a
dichiarare fallimento ancora molte volte: nel
1560, 1575, 1596, 1607, 1627, e ben quattro volte fra il 1647 e il
1662.
Si stima che negli ultimi anni del Cinquecento circa la metà degli
introiti previsti della Corona fossero destinati al pagamento dei
debiti. Per i banchieri il legame con i monarchi, se inizialmente
consentì loro di accumulare ricchezze e potere, si rivelò alla
lunga un abbraccio mortale, che rovinò grandi fortune e disperse
immensi patrimoni.
Un re poteva essere un ottimo cliente quando era
in grado di pagare i propri debiti, ma un cliente pessimo quando
arrivava a regolare le sue insolvenze per decreto.
Ben scritto e congegnato. Bravo!
RispondiEliminain realta' anche banche fiorentine furono coinvolte nel crack finanziario spagnolo ( la banca Carnesecchi--Strozzi che dichiaro' fallimento alla fine del XVI secolo)
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