venerdì 31 maggio 2013

Dove sono gli atei nel mondo

In quali paesi del mondo si concentrano maggiormente le persone che si dichiarano atee? Quali sono, in altre parole, le nazioni più laiche? Una ricerca condotta nel 2012 dalla Gallup International prova a dare una risposta a questi interrogativi, individuando i tassi di religiosità in 40 paesi (circa 50.000 intervistati).

Sulla base di questo sondaggio il Washington Post ha ricavato una mappa (incompleta, visto che si tratta di una ricerca a campione) della distribuzione degli atei nel mondo, come vediamo qui sotto.



La più alta concentrazione di persone che si dicono senza dubbio atee si registra in Cina, al primo posto con un massiccio 47%. Il secondo posto è occupato dall'altra grande potenza dell'estremo oriente, il Giappone (31% degli intervistati), tallonata da vicino dalla Repubblica ceca, primo paese europeo per tasso di ateismo con il 30%, e dalla Francia (29%). Seguono, con percentuali fra il 15% e il 10%, Corea del Sud, Germania, Paesi Bassi, Austria, Islanda, Australia e Irlanda

Le motivazioni di tali concentrazioni sono prevalentemente di natura storica. 
Come osserva anche Max Fisher del Washington Post, il potere in Cina è sempre stato scettico nei confronti delle religioni organizzate, che potevano rappresentare una minaccia per la propria stabilità. Alla metà del XIX secolo la rivolta dei Taiping, una setta religiosa di ispirazione cristiana con elementi sincretistici, provocò una sanguinosa guerra civile che espose la Cina alla penetrazione delle potenze europee. Il regime maoista ha apertamente avversato sia le religioni provenienti dall'Occidente sia quelle tradizionali, perpetrando la distruzione di templi e reliquie durante la Rivoluzione culturale degli anni '60-'70. Anche se oggi l'atteggiamento del governo comunista nei confronti delle fedi si è ammorbidito, il sentimento comune della popolazione rimane profondamente laico. 

In Giappone persiste invece un'osservanza molto formale ed esteriore delle pratiche religiose - soprattutto nel caso dei riti nuziali - ma di fatto la religiosità del paese non è mai più tornata ai livelli precedenti la Seconda guerra mondiale, quando il regime imperiale nazionalista si legò molto alle tradizioni scintoiste. Questo atteggiamento di diffidenza verso una religiosità troppo intensa ha portato a preoccupanti fenomeni di "de-conversioni" forzate da parte di familiari che cercano di recuperare un congiunto da una credenza giudicata estrema, come i Testimoni di Geova. 

Nella Repubblica ceca, come in altri paesi dell'ex blocco sovietico, l'ateismo diffuso è senz'altro un retaggio dell'ideologia comunista. Ma qui ha raggiunto percentuali più alte che altrove, segno di una laicizzazione più profonda della società ceca rispetto ad esempio a quella romena o alla stessa Russia. Stesso fenomeno si riscontra anche in Germania, dove la parte orientale - l'ex repubblica socialista della Ddr - fa da traino all'intero paese sul terreno della laicità. Qui, e in generale nel Nord Europa, l'influenza della religione è stata fortemente ridimensionata a seguito della riforma luterana, delle rivoluzioni borghesi e, nel caso della Germania Est, dell'avvento del socialismo.

In Francia la laicità è stato uno dei valori su cui si è fondata la Rivoluzione del 1789, durante la quale la religione fu combattuta e avversata in nome della Ragione. Il cristianesimo fu considerato all'origine dell'oscurantismo che aveva soggiogato i popoli ai poteri dell'Ancien Régime e fu additato come causa di superstizioni e ignoranza. Non sorprende quindi che questa impronta culturale sia rimasta profondamente impressa nello spirito dei francesi.

Quanto all'Italia, lo studio in questione la pone al diciassettesimo posto con un 8% di atei convinti, registrando una crescita del 2% rispetto alla rilevazione del 2005. A questo dato si accompagna anche un costante calo nel numero dei battesimi, che secondo una ricerca del Pew Forum on Religion and Public Life si è accentuato negli anni del pontificato di Benedetto XVI. Ma la percentuale di coloro che si dichiarano credenti si mantiene ancora alta, col 73% degli intervistati. In base ad un'indagine dell'aprile 2012 condotta da due ricercatrici italiane vi è però un 41% di individui che pur affermando di seguire la religione cattolica non si considerano persone spirituali «come se la fede - spiegano le due studiose - fosse un valore culturale, le cui radici vanno cercate nella tradizione e nell'abitudine». 

Negli Stati Uniti il sentimento religioso rimane molto forte e diffuso: si registra appena il 5% di atei (26esimo posto), ma con un aumento di ben quattro punti percentuali in appena sette anni. 

Al di là delle specifiche vicende nazionali, il declino delle religioni, soprattutto i tre grandi monoteismi, è un fenomeno riconosciuto a livello globale ormai da anni e il trend sembra affermarsi anche in paesi tradizionalmente religiosi (sorprende a questo proposito il 5% di atei convinti dichiaratisi in Arabia Saudita, paese fortemente intollerante verso i non credenti, ma anche il 10% registrato in Irlanda).

Inoltre va ribadito che la ricerca, basata su un campione di quaranta paesi, fotografa la distribuzione territoriale di coloro che si dichiarano "atei convinti". Ciò significa che sommando ad essi tutti coloro che si considerano agnostici o semplicemente "non-religiosi" si arriva a percentuali ancora più alte, in alcuni casi superiori al 50%. 


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Photo credits: Washingtonpost.com

venerdì 5 aprile 2013

Come riconoscere i fascismi


Nelle fasi di crisi economica e politica nascono spesso nuovi movimenti che si propongono di risolvere in modo drastico i problemi di un paese. C'è però il rischio che dietro l'entusiasmo innovatore e le buone intenzioni di molti si nascondano pulsioni antidemocratiche ed autoritarie, magari inconsapevoli ma non per questo meno allarmanti.

Benito Mussolini e Adolf Hitler
Come si fa a smascherare i cripto-fascismi, a identificare la natura fascista di un qualsiasi movimento politico? Ci viene in aiuto a questo proposito uno scritto di Umberto Eco del 1995, un saggio molto breve nel quale l'intellettuale piemontese delinea le caratteristiche fondamentali di tutti i fascismi, ossia di tutti quei fenomeni che a partire dal modello mussoliniano hanno replicato, in forme e con contenuti diversi, uno stesso sistema identitario e politico. 

Uno schema per riconoscere il fascismo ovunque si annidi, avendone ben presenti le caratteristiche fondamentali, i punti comuni a tutte le concrete incarnazioni che storicamente si sono determinate (il fascismo italiano, il nazismo, il franchismo, il peronismo e molti altri). Possiamo definirlo come un identikit del fascismo nella sua forma astratta, al netto delle varianti storiche.

Eco lo chiama infatti Ur-Fascismo, o “fascismo eterno”, ossia il fascismo nella sua intima essenza. Il prefisso “Ur-” viene dal tedesco ed è utilizzato per indicare la variante primigenia del concetto a cui si accompagna, la sua versione archetipica. Ur-Fascismo è quindi un idealtipo, un insieme di elementi che in numero variabile sono rintracciabili nelle diverse forme di fascismo instaurate in molte parti del mondo nel XX secolo. Perché un movimento si configuri come fascista non è necessario che si presentino tutti questi tratti contemporaneamente: rintracciarne anche uno solo è già sufficiente per metterci in allarme.

Secondo Eco, l'Ur-Fascismo presenta le seguenti caratteristiche fondamentali:

1) Il culto della tradizione. I fascismi si rifanno ad una qualche dimensione mitica di ordine ed equilibrio collocata in un passato remoto e nascosta dal velo di antiche lingue morte. La cultura non è quindi avanzamento del sapere, ma recupero di quel messaggio originario, che può avvenire con l'aiuto di autori e pensatori molto diversi fra loro, in una ricerca di tipo sincretistico.

2) Il rifiuto del modernismo, in quanto negazione della tradizione, ma non rifiuto della tecnologia: i fascismi vanno fieri dei loro progressi tecnologici, ma rigettano ciò che è moderno sul piano delle idee e dei valori. Tutto ciò che l'Illuminismo e le rivoluzioni americana e francese hanno portato sulla scena politica – uguaglianza, diritti umani, razionalismo – vengono considerati degenerazioni. Ad essi si contrappone un forte irrazionalismo.

3) Il culto dell'azione per l'azione e il rifiuto del pensiero critico. L'impulsività, l'istinto, l'azione come atto estetico vengono preferiti alla riflessione, che è un freno alla libertà dello spirito umano e un segnale di tentennamento e di debolezza. Da qui il sospetto e l'avversione verso la cultura e gli intellettuali.

Manifesto di propaganda fascista
4) Il disaccordo come tradimento. Esercitare lo spirito critico porta a operare delle distinzioni, ad assumere posizioni contrastanti, grazie alle quali il pensiero umano cresce e progredisce. L'Ur-Fascismo rifiuta tutto questo e tratta il disaccordo come tradimento, celebrando al contrario l'unità, il pensiero unico, la concordia in seno alla tradizione.

5) La paura del diverso. Proprio in ossequio al principio del pensiero unico e della condanna delle differenze, l'Ur-Fascismo chiama alla lotta contro il diverso, lo straniero, il non-allineato: è razzista per definizione. Ed è esasperando queste paure irrazionali che i fascismi costruiscono il consenso.

6) L'appello alle classi medie frustrate. L'Ur-Fascismo trova terreno fertile nel malessere delle classi pressate da crisi economiche o sconfitte politiche e spaventate dalle rivendicazioni delle classi subalterne. 

7) L'ossessione del complotto. Per dare unità a masse vaste ed eterogenee, l'Ur-Fascismo ricorre allo spauracchio del nemico esterno, appellandosi al nazionalismo e alla xenofobia. Ma il nemico deve essere anche interno, facile da riconoscere e da attaccare.

8) I nemici sono molto forti ma anche molto deboli. L'Ur-Fascismo dà ai suoi seguaci dei nemici da odiare, il che funziona tanto meglio quanto più questi ultimi vengono rappresentati come ricchi, tracotanti, privilegiati. Ma allo stesso tempo devono apparire abbastanza deboli da dare agli adepti l'idea di poterli sconfiggere. Secondo Eco questa ambigua rappresentazione del nemico fa sì che i fascismi siano destinati a perdere sempre le loro guerre in quanto incapaci di valutare obiettivamente le forze del nemico.

9) La vita è guerra permanente, il pacifismo è collusione col nemico. La retorica guerresca è il cuore del pensiero fascista e implica l'esistenza perenne di un nemico da combattere. L'idea che uno scontro risolutivo porti alla vittoria e quindi a una nuova era di pace è, secondo Eco, una delle contraddizioni che i fascismi non hanno mai risolto.

10) L'elitismo di massa. I seguaci devono sentirsi parte di un'élite, di un gruppo eletto che può e deve estendersi all'intera nazione. Allo stesso tempo il leader deve coltivare il senso di debolezza delle masse, che devono continuare a sentire il bisogno di una guida autoritaria. Nella gerarchia così instaurata, il forte domina il debole a lui sottoposto, ma quest'ultimo continua a sentirsi parte di un'élite apparentemente egualitaria.

11) Il culto dell'eroismo. Nell'ideologia ur-fascista tutti sono chiamati a diventare eroi, tutti sono educati per essere i migliori, cosicché l'eccezionale diventa normale. Ad esso è associato il culto della morte, vera e desiderabile ricompensa per una vita straordinaria. In questa impazienza di morire, chiosa l'autore, all'eroe ur-fascista “riesce più di frequente far morire gli altri”.

12) Il machismo. La retorica della guerra e dell'eroismo vengono sublimate nella sfera sessuale: la potenza dominatrice del maschio si esercita nei confronti della donna ma anche di tutti i comportamenti sessuali non conformisti, come l'omosessualità e la castità. L'Ur-Fascismo canalizza le pulsioni guerresche nel sesso e, viceversa, le armi sono vissute come surrogati fallici.

13) Il Populismo qualitativo. Mentre in democrazia le decisioni si prendono a maggioranza e quindi secondo un principio quantitativo, in una realtà ur-fascista il Popolo è rappresentato come un'entità monolitica portatrice di una volontà unica di cui il leader è interprete. In questo modo, privato di ogni potere di delega e di ogni diritto ad una varietà di opinioni, il Popolo non ha peso come quantità, ma come simbolo, come un semplice attributo del capo. In un'epoca dominata da tv e internet, l'Ur-Fascismo può presentare l'opinione di un gruppo di selezionati come “la voce del popolo”. Proprio per questo, l'Ur-Fascismo si oppone alle classi dirigenti al potere delegittimando il Parlamento in quanto non più rappresentativo della “volontà del popolo”.

14) La “neolingua”. L'Ur-Fascismo parla una lingua propria, fatta di parole d'ordine ed epiteti simbolici, di formule e di motti. In questo modo deprime le capacità critiche, offrendo sintesi comode ed efficaci in luogo di ragionamenti faticosi. La neolingua, inoltre, rafforza l'identità collettiva.

In conclusione, Eco scrive: “L'Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: "Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!" Ahimè, la vita non è così facile. L'Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l'indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo”. 

C'è qualche fenomeno contemporaneo nel quale riconoscete anche uno solo di questi elementi?