martedì 29 maggio 2012

Pio XI ucciso dal padre di Claretta Petacci?


E se Pio XI fosse stato ucciso dal suo medico personale, il padre di Claretta Petacci? A suscitare l'inquietante sospetto è stata la riapertura dei diari dell'amante del Duce, desecretati dopo quasi settant'anni di oblio negli archivi dello Stato. Da quelle agende risultano strappate le pagine dal 5 al 12 febbraio 1939, ossia i giorni a cavallo della morte del papa. Chi ha voluto questa manomissione, e perché?

Papa Pio XI nel 1930
Papa Achille Ratti morì il 10 febbraio 1939, all'età di 82 anni, ufficialmente per un attacco di cuore. Voci di un suo possibile assassinio circolarono fin dal primo momento, ma i problemi cardiaci del pontefice erano noti e le speculazioni non ebbero molto seguito.

Le indagini condotte oggi sui diari di Claretta hanno permesso di accertare la sottrazione delle pagine relative a quei giorni cruciali e gettano un'ombra inquietante sulla fine del papa lombardo. Ma ogni assassinio richiede un movente. Perché qualcuno avrebbe voluto la morte del pontefice?

L'attrito fra Pio XI e Mussolini era cosa nota e si era aggravato l'anno precedente dopo l'emanazione delle leggi razziali. Nei diari di Claretta Petacci e di Galeazzo Ciano sono riportati alcuni violenti scatti d'ira del Duce contro il papa, di cui arrivò ad augurarsi la morte. Per Mussolini era intollerabile che Pio XI lo attaccasse sulle politiche antisemite e riteneva questo atteggiamento nefasto per la Chiesa e per la società.

Molti si aspettavano che l'11 febbraio, in occasione del decennale del Concordato fra lo Stato italiano e la Chiesa, il papa avrebbe tenuto un discorso fortemente polemico e accusatorio nei confronti dei regimi fascista e nazista. E avevano ragione a pensarlo, visto che nella bozza di quell'orazione mai pronunciata – il papa morì il giorno prima – i due dittatori venivano paragonati a Nerone (fu Giovanni XXIII, vent'anni dopo, a renderne pubblica una parte). Ancora più pesante l'impatto che avrebbe potuto avere l'enciclica contro l'antisemitismo alla quale il papa stava lavorando in quel periodo, e che fu gettata nel dimenticatoio dal successore Pio XII.

Claretta Petacci
La morte del pontefice alla vigilia di un discorso scomodo e di un'ancor più temibile lettera enciclica giovò sicuramente al fascismo e al nazismo, che da allora non trovarono più nella Chiesa di Roma un vero ostacolo. Se questo era il movente, chi fu l'esecutore materiale? I sospetti cadono inevitabilmente su Francesco Saverio Petacci, archiatra del papa e padre dell'amante di Mussolini. Dai diari della figlia è evidente il rapporto stretto del medico con il Duce, il quale era certamente nella posizione di ottenere da Petacci l'esecuzione di un lavoro del genere a compenso di favori passati o futuri.

Tutto vero o solo l'ennesimo caso di fantapolitica? Difficile dirlo, visti i pochi elementi finora a disposizione. Certo rimane singolare l'eliminazione di quelle pagine dai diari di Claretta, che furono da lei affidati ad un'amica prima del tragico tentativo di fuga con Mussolini conclusosi con la fucilazione a Dongo. A manomettere i diari potrebbe essere stata la stessa Claretta, oppure la contessa Rina Cervis che ne fu la custode, i servizi segreti angloamericani che li visionarono o le autorità italiane che li rinchiusero nell'Archivio di Stato fino ad oggi. Qualcosa da nascondere c'era, su questo non vi sono dubbi. Che avesse a che fare con la morte del papa è quantomeno probabile.

lunedì 28 maggio 2012

Salsedo come Pinelli, il destino di due anarchici


Tutti conoscono la tragica storia di Giuseppe Pinelli, il ferroviere anarchico che il 15 dicembre 1969 morì precipitando da una finestra della Questura di Milano durante un interrogatorio sulla strage di piazza Fontana avvenuta tre giorni prima. A distanza di 43 anni da quella notte la verità sulla sua morte non è stata ancora accertata: fu un suicidio, come sostennero i poliziotti presenti, o l'estrema conseguenza di un interrogatorio brutale finito fuori controllo? Un mistero che si è unito ai tanti che ancora oggi avvolgono quell'episodio drammatico della storia italiana, raccontato dal recente film Romanzo di una strage.

Quello che in pochi sanno è che la vicenda di Pinelli ha un precedente. Quarantanove anni prima, il 3 maggio 1920, un uomo di 39 anni, anche lui anarchico, morì in circostanze misteriose precipitando da una finestra del Park Row Building di New York, sede del Dipartimento di Giustizia americano.

Andrea Salsedo, questo era il suo nome, era un italiano di Pantelleria arrivato negli Stati Uniti dieci anni prima. Formatosi nelle idee dell'anarchismo, una volta giunto a New York fu tra gli animatori di un gruppo anarchico costituito da alcune decine di immigrati italiani, tra i quali i più noti saranno Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.

Attentato anarchico a Wall Street, 1920

Uomo di spicco del gruppo era Luigi Galleani, che diede vita ad un periodico chiamato Cronaca Sovversiva, nel quale si faceva esplicito riferimento alla violenza come metodo di lotta politica. Il giornale fu chiuso nel 1918 e Galleani arrestato l'anno successivo, ma le attività del gruppo continuarono. Salsedo si occupò di pubblicare un nuovo opuscolo chiamato Plain Words e si ebbero nuovi episodi di attentati dinamitardi e campagne di opinione contro le autorità. Il suo nome fu incluso dai servizi segreti americani nella lista dei più pericolosi nemici pubblici. Costretto a rifugiarsi in Messico insieme ad altri compagni per sfuggire all'arruolamento nell'esercito, fu arrestato dalle autorità federali nel febbraio del 1920.

Un'immagine di New York nel 1920
Il 3 maggio, durante uno degli interrogatori negli uffici del Bureau of Investigation, diventato poi l'FBI, Salsedo precipitò dal quattordicesimo piano dell'edificio di Park Row. Unico testimone al di fuori dei federali fu il suo compagno di lotta Roberto Elia, il quale inizialmente confermò la tesi del suicidio, affermando che Salsedo aveva scelto la morte pur di non tradire i compagni. Il giornalista e scrittore Carlo Tresca raccontò che in un secondo tempo Elia aveva ritrattato la propria testimonianza, accusando i federali di aver provocato la morte di Salsedo. Come andarono veramente i fatti non è stato mai accertato.

La tragedia scatenò molte reazioni. Mezzo secolo prima di Pinelli, nell'opinione pubblica americana si apriva un dibattito fra sostenitori del suicidio e sostenitori dell'omicidio del tutto identico a quello che avrebbe avvelenato la vita pubblica italiana alla fine del 1969, e che avrebbe innescato l'escalation conclusasi con l'uccisione del commissario Luigi Calabresi nel 1972.

La tragica coincidenza fra i destini di Andrea Salsedo e Giuseppe Pinelli, così distanti nel tempo e nello spazio, rimane ancora singolare e lascia aperte domande e dubbi sulla esatta dinamica delle loro morti.

venerdì 18 maggio 2012

Come sarà rimosso il relitto della Costa Concordia?

Ecco un video con animazioni in 3D che spiega come si svolgerà la rimozione del relitto della nave Costa Concordia, semiaffondata lungo le coste dell'isola del Giglio il 13 gennaio 2012. L'operazione, considerata la più grande impresa di questo genere mai compiuta, partirà nel corso del mese di maggio e durerà circa un anno. La sciagura marittima ha provocato trenta morti e due dispersi.



fonte: repubblica.it

mercoledì 16 maggio 2012

Com'è cambiata l'Europa negli ultimi mille anni

Quanto è cambiata la mappa politica del Vecchio Continente negli ultimi dieci secoli? Quanti stati, staterelli o grandi imperi sono sorti e poi crollati nell'arco di un millennio, a colpi di guerre, invasioni, migrazioni e conquiste?

Ecco un filmato in time lapse che in soli tre minuti riassume le centinaia di variazioni territoriali che hanno segnato la storia europea dall'anno 1000 al 2003, mostrando in modo sorprendentemente efficace la lunga genesi dell'Europa che conosciamo oggi (e che speriamo si riveli più stabile di quella di ieri).



fonte: corriere.it

martedì 15 maggio 2012

"Orbis", il Google Maps dell'Antica Roma

Si chiama Orbis ed è un'applicazione online che permette di calcolare quanto sarebbe durato (e costato) un viaggio tra una città e l'altra dell'Impero romano. Il progetto è stato sviluppato da un team di storici e di esperti di tecnologie informatiche della Stanford University, in California, ed è utilizzabile gratuitamente da questo sito

L'applicazione ha un'interfaccia simile a quella di Google Maps o altri tool di geolocalizzazione, compresi i software dei navigatori satellitari. Una mappa navigabile dell'impero, con le principali città e strade dell'epoca e un box con dei campi in cui inserire le varie informazioni: il luogo di partenza, quello di arrivo, il periodo dell'anno, il tipo di percorso (più veloce, più breve, più lento), i metodi di viaggio (militare, privato, a cavallo). Una volta inseriti i dati, Orbis calcolerà i tempi medi del viaggio e anche il costo in denarii, incrociando una grande quantità di variabili per dare la risposta più verosimile. Sulla mappa compariranno le varie linee dell'itinerario, di colore diverso a seconda delle chiavi di ricerca. 

Ad esempio, per andare da Roma a Costantinopoli partendo a gennaio e viaggiando principalmente per nave, un antico romano avrebbe impiegato quasi 21 giorni, coprendo 2951 chilometri e spendendo quasi 600 denarii per pagare pedaggi o animali da soma. Se avesse scelto di viaggiare via terra percorrendo la via più breve in termini di chilometri, tutti gli altri valori sarebbero lievitati: quasi 52 giorni e oltre 2000 denarii di spese. 



Con questo sistema, Orbis è in grado di calcolare una quantità pressoché infinita di ipotesi di viaggio, tutte storicamente verosimili in quanto tengono conto di una miriade di fattori: le strutture stradali, le tecniche di navigazione, le condizioni atmosferiche dovute alle stagioni, le rotte più frequentate, i mezzi a disposizione e molto altro. Per avere un'idea della complessità del progetto basti pensare che il programma considera ben 751 fra città e insediamenti minori, 268 porti, oltre 84mila chilometri di strade e 28mila di canali e fiumi navigabili. Sul sito sono disponibili tutte le informazioni sul modo in cui l'applicazione è stata sviluppata e sugli studi che lo hanno reso possibile. 

Il risultato è davvero sorprendente per la sua precisione scientifica e aiuta a capire in modo rapido e intuitivo cosa volesse dire viaggiare all'epoca dell'Impero romano, quali tempi, mezzi e spese andassero messi nel conto. 

giovedì 10 maggio 2012

La «Belle Époque» fu davvero un'epoca “bella”?


Ancora oggi la chiamiamo Belle Époque, l'epoca bella per eccellenza, con i suoi café chantant, le vie illuminate da lampadine elettriche, il fischio dei treni nelle stazioni, le prime automobili. Un'epoca di ottimismo, di grandi conquiste in tutti gli ambiti del sapere, di invenzioni rivoluzionarie e rapidi cambiamenti.

La Tour Eiffel in costruzione, 1888
Ma era proprio così? Cosa c'è di vero nella immagine romantica e anche un po' nostalgica che abbiamo del periodo che va dal 1870 al 1914?

Qualcosa di vero c'è.
Innanzitutto, la Belle Époque fu un lungo periodo di pace, come non se ne erano mai visti in Europa dai tempi dell'Impero romano. Per millequattrocento anni e oltre, dalle invasioni barbariche in poi, l'Europa era stata attraversata quasi ininterrottamente da conflitti piccoli e grandi, e i periodi di pace erano durati sempre pochissimi anni. Con la fine della guerra franco-prussiana, nel 1871, il continente entrò in una fase nuova, nella quale le potenze non avrebbero più fatto ricorso alle armi per almeno quarant'anni. I conflitti furono tutti confinati al di fuori dello spazio europeo, nelle lontane colonie.

Questo nuovo clima permise una straordinaria fioritura culturale, dominata dal pensiero del positivismo: fiducia nell'uomo e nelle capacità del progresso di migliorare la vita di tutti. In quest'epoca nacquero nuove discipline di studio, si riorganizzò il sapere tradizionale su basi rigorosamente scientifiche, si ebbe una incredibile concentrazione di nuove scoperte e invenzioni che avrebbero cambiato la vita dell'umanità in brevissimo tempo. Si gettavano le basi materiali e culturali del mondo contemporaneo, quella civiltà industriale e urbanizzata che avrebbe dominato il Novecento.

Dettaglio de Il Quarto Stato. 1901
Ma la generale euforia determinata da questa singolare coincidenza di elementi positivi celava già in sé i germi di futuri conflitti e tragedie. L'avvento dell'industria, se da una parte consentiva di raggiungere inimmaginabili livelli di sviluppo, dall'altra provocava acute tensioni sociali. Migliaia di contadini abbandonavano le campagne e si riversavano nelle città in cerca di lavoro nelle fabbriche, per avere la sicurezza di un salario fisso. Nelle periferie urbane crescevano agglomerati degradati e privi di servizi essenziali, dove la criminalità, l'emarginazione e l'insalubrità dei luoghi dominavano. La vita quotidiana di questa nuova classe sociale in rapida crescita, il proletariato, era segnata dalla fatica e dalla miseria, sulle quali i nuovi signori del capitalismo rampante costruivano le proprie grandi fortune. Il Moulin Rouge, le Esposizioni universali, i viaggi di lusso in transatlantico, le prime automobili: simboli della Belle Époque ma accessibili solo a pochi, mentre i molti, chiusi nelle fabbriche anche quattordici ore al giorno, cominciavano a conoscere parole nuove come lotta, rivoluzione, diritti, socialismo.

La Belle Époque è anche l'epoca dei nazionalismi, delle tensioni fra popoli diversi all'interno di immense compagini multietniche come l'Impero austro-ungarico, quello ottomano e quello russo, tutti attraversati da agitazioni, movimenti d'indipendenza, fanatismi sciovinisti che non di rado sfociavano nel terrorismo e negli attentati ai potenti. Ma furono anche tensioni internazionali, dovute alla concezione imperialistica che le potenze europee avevano della politica estera. Fu un periodo di pace, certo, ma di una pace apparente, che nascondeva questioni insolute pronte a riesplodere anche con violenza.

Tutte le nazioni dell'epoca, mettendo a frutto i progressi della scienza e della tecnica, potenziavano ed espandevano i loro arsenali bellici, pronte a difendersi ma anche ad aggredire, in una specie di delirio di onnipotenza in cui nessuno considerò realmente le conseguenze di un'eventuale conflitto su larga scala.

La Belle Époque finì di colpo nel 1914, risucchiata nel baratro della Prima guerra mondiale: l'intreccio di tensioni e interessi contrapposti fra le varie potenze che si era sedimentato in oltre quattro decenni aveva trasformato l'Europa in una polveriera che cercava solo l'occasione per esplodere. La miccia fu l'assassinio di Francesco Ferdinando d'Austria a Sarajevo, ma fu solo il pretesto per dare il via libera alla follia. L'epoca del positivismo, della fiducia nel progresso e nello spirito dell'uomo, finì schiacciata dai suoi stessi frutti, quei ritrovati della scienza che adesso venivano messi al servizio della distruzione. L'Europa entrò in una fase nuova, all'ottimismo subentrava lo smarrimento, la fine delle certezze, la consapevolezza che l'uomo moderno poteva essere capace di un male sempre più grande.

Il Moulin Rouge in un quadro di Eugéne Galien-Laloue (1906)
Forse la Belle Époque appare molto più “bella” e spensierata a chi la guarda col senno di poi che a coloro che la vissero. Contribuiscono ad alimentare questo mito la letteratura, i romanzi vittoriani, la pittura impressionista e tutte quelle forme d'arte che hanno esaltato il meglio di quegli anni. All'analisi storica, invece, non sfuggono le contraddizioni e le ambiguità di quel periodo, che la formula ormai cristallizzata di Belle Époque finisce spesso col nascondere e sminuire.