venerdì 27 luglio 2012

La strana crociata di Federico II


Federico II di Svevia
Se c'è un personaggio eccentrico nella storia dell'Europa medievale, quello è sicuramente Federico II di Hohenstaufen, re di Germania e di Sicilia e imperatore del Sacro Romano Impero. Soprannominato “Stupor Mundi” ("Meraviglia del mondo") per le sue eccezionali qualità, il sovrano svevo fu anche protagonista della più singolare delle crociate che l'Occidente cristiano abbia mosso contro l'Oriente musulmano. Nel computo “ufficiale” delle spedizioni figura generalmente come la Sesta crociata, ma vari storici hanno preferito indicarla come “la crociata di Federico”, proprio a sottolinearne il carattere di unicità.

L'erede della casata del Barbarossa era stato allevato presso la corte papale durante il pontificato del grande Innocenzo III, il cui successore, Onorio III, era molto legato al giovane principe in quanto suo istitutore. Fin dal 1220, in cambio dell'incoronazione a imperatore, il papa aveva chiesto a Federico di guidare una spedizione in soccorso dei cristiani d'Oriente, il cui regno era stato notevolmente ridotto dalle conquiste di Saladino (la stessa Gerusalemme era caduta nelle mani dei musulmani nel 1187). 

Il sovrano tergiversò, preso com'era dall'urgenza di consolidare il proprio potere in Sicilia e in Germania e impegnato nel tentativo di sottomettere anche le città ribelli dell'Italia settentrionale. La partenza venne di volta in volta rimandata, provocando il disappunto del pontefice e la delusione dei franchi di “Outremer”, che avevano bisogno del suo aiuto.

Per potersi presentare in Oriente vantando titoli di legittimità, il 9 novembre 1225 Federico sposò a Brindisi Jolanda di Brienne, erede del regno di Gerusalemme, dalla quale ebbe un figlio, Corrado. Come re consorte la sua leadership sulla crociata e sui nobili di Outremer era fuori discussione ed egli poteva finalmente partire. Ma chiese ancora una dilazione di due anni, che impedì ad Onorio, morto nel marzo 1227, di vedere realizzato il proprio desiderio. Il successore, Gregorio IX, fu molto più severo e risoluto: quando la spedizione, partita da Brindisi nell'agosto 1227, rientrò rapidamente ad Otranto a causa di un'epidemia scoppiata a bordo delle navi, il papa scomunicò Federico II e lo diffidò dal recarsi in Terrasanta. L'imperatore ignorò l'anatema pontificio e nel 1228 diede finalmente il via alla sua crociata.

Dopo una sosta a Cipro, nella quale provocò una guerra civile fra i baroni del regno cipriota nel tentativo di stabilire su di esso la propria sovranità, a settembre Federico sbarcò ad Acri, capitale del regno cristiano, dove apprese che papa Gregorio lo aveva nuovamente scomunicato per essere partito senza essersi riconciliato con la Chiesa. Un capo crociato scomunicato non si era mai visto in Oriente e questo spinse molti baroni locali ad un atteggiamento distaccato nei suoi confronti. Inoltre, era evidente che il sovrano svevo aveva intenzione di imporsi come autocrate dell'intero Oriente cristiano, dove tradizionalmente il potere era gestito da tutti i membri della nobiltà riuniti nell'Alta Corte. L'unico sostegno gli veniva dai soldati tedeschi e italiani partiti con lui dalla Puglia e dall'Ordine dei cavalieri teutonici, mentre l'aristocrazia palestinese e gli ordini militari dei Templari e degli Ospitalieri gli erano ostili.

Federico II e Malik al-Kamil
Federico non era un fanatico religioso. Esperto di teologia e filosofia, era al contrario molto critico nei confronti del cristianesimo e della Chiesa di Roma e nutriva un autentico interesse nei confronti della cultura orientale e della religione islamica. Cresciuto in una Sicilia cosmopolita e tollerante, conosceva l'arabo, aveva amici musulmani ed era in buoni rapporti col sultano d'Egitto Malik al-Kamil, contro il quale in teoria era stata mossa la sua crociata. E in effetti la guerra non ci fu: i due sovrani evitarono lo scontro e preferirono trovare un'intesa vantaggiosa per entrambi, firmando il 18 febbraio 1229 un accordo che prevedeva la cessione ai cristiani di Gerusalemme, Betlemme ed altre città della Galilea,  oltre a una pace di dieci anni.

I baroni del regno furono sconcertati da quel risultato. Trovavano inammissibile che la Città Santa fosse stata riconquistata senza colpo ferire e non potevano tollerare che ai musulmani fosse stato riconosciuto il diritto di continuare a disporre liberamente dei loro luoghi di culto. Anche per gli islamici il sultano aveva tradito la fede e in molti abbandonarono la città. Federico si aspettava di essere celebrato come il trionfatore di quella singolare crociata pacifica, ma ad Acri l'accoglienza fu fredda e la Chiesa locale arrivò a lanciare l'interdetto su Gerusalemme se avesse accolto un sovrano scomunicato.

Il 17 marzo 1229 Federico entrò nella Città Santa in un'atmosfera dimessa e quasi tetra. Accompagnato da un piccolo seguito di cavalieri teutonici, di soldati italiani e tedeschi e da due amici vescovi, unici rappresentanti del clero, l'imperatore attraversò le vie deserte della città e prese dimora nella sede che era stata degli Ospitalieri. L'indomani la sparuta compagnia si recò alla chiesa del Santo Sepolcro per la messa, ma non fu trovato nemmeno un prete. Allora Federico prese dall'altare la corona reale che vi aveva fatto collocare e se la pose sul capo proclamandosi re di Gerusalemme in forza dei diritti di suo figlio Corrado (la moglie Jolanda era morta infatti già prima della partenza della spedizione). Dopo questa lugubre cerimonia, l'imperatore visitò i luoghi santi dell'Islam: i cronisti riportano la manifesta ammirazione del sovrano per quella cultura e le frasi di malcelato disprezzo che pronunciò contro i cristiani. Un cinismo così ostentato e anticonformista non era comprensibile per la mentalità di allora, né dai cristiani né dai musulmani. Già il giorno dopo Federico e il suo seguito lasciarono la città, sulla quale cadeva l'interdetto della Chiesa.

Gli Stati crociati di "Outremer" nel 1229-1241
Rientrato ad Acri, il sovrano nominò dei suoi rappresentanti, urtando ulteriormente i sentimenti di autonomia dei baroni locali, e il 1° maggio si recò al porto per rientrare in Europa. Scelse di partire all'alba, per non farsi vedere da nessuno, ma molti abitanti di Acri si accorsero della sua partenza e gli lanciarono contro budella di animali e sterco, mentre l'imperatore si imbarcava imprecando. La strana crociata del sovrano più potente del mondo finiva così, nel disonore e nell'amarezza.

Il bilancio finale era molto scarso: Gerusalemme era rientrata nelle mani dei cristiani ma era di fatto indifendibile e il sultano avrebbe potuto riconquistarla in qualsiasi momento. Il regno cristiano era stato offeso nelle sue istituzioni e indebolito dalle lotte intestine provocate da Federico, che avrebbe continuato ad esercitare la sua influenza deleteria anche negli anni successivi. Lo Stupor Mundi, che tante imprese gloriose avrebbe compiuto in Europa, lasciava nel Levante un pessimo ricordo di sé: per quanto affascinato dalla cultura orientale, Federico rimaneva un sovrano occidentale. 
Lui e l'Oriente non si compresero mai fino in fondo.

venerdì 20 luglio 2012

La dominazione spagnola in Italia



Quando si parla di dominazione spagnola si pensa subito a un periodo di decadenza e di miseria. Vengono alla mente immagini “manzoniane” di epidemie di peste, tasse opprimenti, soprusi dei dominatori sulla povera gente. È un'idea realistica o solo una leggenda? Cos'è stata davvero per l'Italia la dominazione spagnola?

Carlo V, re di Spagna e imperatore
Intanto proviamo a periodizzare: nel 1559, con la pace di Cateau-Cambrésis, che mise fine alle guerre con la Francia, la Spagna si vide riconosciuta la propria egemonia su gran parte della penisola italiana. La corona spagnola controllava il regno di Napoli, la Sicilia, la Sardegna e il Ducato di Milano ed esercitava un'influenza indiretta su Genova e sulla Toscana medicea. Restavano esclusi da questo dominio solo lo Stato pontificio, che versava comunque in una condizione di debolezza politica, e la Repubblica di Venezia, proiettata verso il Mediterraneo orientale e chiamata a fronteggiare la minaccia turca.

Questa situazione di sottomissione politica alla Spagna si protrasse almeno fino alla fine del Seicento, quando la crisi dinastica per la successione al trono di Madrid aprì la strada ad una nuova egemonia straniera, quella dell'Austria.

Fu davvero un secolo e mezzo di decadenza e sfruttamento, o ci fu dell'altro? Indubbiamente le forme del dominio spagnolo in Italia furono per molti versi opprimenti: il fiscalismo, da sempre eccessivo, si fece ancora più intollerabile nel Seicento, quando il peso dei costi delle campagne militari fu scaricato in gran parte sui possedimenti italiani. La Spagna veniva identificata come il braccio armato della Chiesa della Controriforma, pronta a negare ogni spazio di libertà. Dall'esasperazione popolare scaturirono la rivolta di Masaniello a Napoli nel 1647 e vari altri episodi di sollevazione popolare, sempre duramente repressi. Le condizioni di vita generali erano insoddisfacenti, le epidemie frequenti e la ricchezza concentrata nelle mani di un ceto baronale sempre forte e irrequieto.

La rivolta di Masaniello (Napoli, 1647)


Ma la dominazione spagnola non fu solo questo. Una prima revisione della “leggenda nera” del periodo fu tentata da Benedetto Croce, il quale accusò la storiografia nazionalista del periodo risorgimentale (da Vincenzo Cuoco a Francesco De Sanctis) di aver attribuito alla Spagna delle colpe politiche ed economiche eccessive, senza riconoscere le conseguenze positive del controllo iberico sulla penisola. Il dominio spagnolo garantì il consolidamento delle strutture dello Stato moderno in contrapposizione allo strapotere destabilizzante dei baroni, favorì una «vita politica nazionale» e assicurò all'Italia quasi un secolo di pace ininterrotta, mentre il resto d'Europa continuava a subire i danni di guerre e conflittualità dalle motivazioni religiose e politiche. A fronte di un gravoso prelievo fiscale, le popolazioni italiane potevano dunque beneficiare di una situazione di stabilità e di sicurezza invidiabile per l'Europa dell'epoca.

Una certa decadenza economica dell'Italia in effetti ci fu, ma non si trattò di una conseguenza diretta dell'egemonia spagnola. Fu un fenomeno più generale, collegato al declino del Mediterraneo come spazio commerciale a vantaggio delle rotte atlantiche inaugurate dalla scoperta e dalla colonizzazione del Nuovo Mondo. Gli interessi e la prosperità delle città mercantili italiane furono compromessi dallo spostamento a nord dell'asse dei traffici, che avrebbe arricchito le potenze emergenti dell'Inghilterra e dei Paesi Bassi e avrebbe finito col danneggiare anche la florida Venezia.

Accusare la Spagna imperiale di tutte le sventure dell'Italia dell'epoca è dunque un'esagerazione storiografica, che non tiene conto degli effetti anche positivi che quel dominio comportò. Con la formula dell'antispagnolismo si è data spesso una risposta comoda e convincente alle tante domande sui problemi endemici del Meridione e sulle ragioni del divario Nord-Sud, ma questa visione piatta e unidimensionale non permette di capire a fondo la realtà del dominio spagnolo.